Il 24 ottobre si terrà un evento a Parigi per presentare ufficialmente lo Stato della diaspora africana nel mondo. Un’istituzione che ha già una sua Costituzione, un governo e una sede centrale in Giamaica, e che cerca ora un riconoscimento istituzionale.
Se fosse un paese, quello composto dalla diaspora africana, con i suoi 350 milioni di persone sparse in tutti i continenti, costituirebbe il terzo al mondo per popolazione dopo la Cina e l’India. Più grande degli Stati Uniti (circa 327 milioni) dell’Indonesia (264 milioni), del Brasile (293 milioni), e con numeri in crescita.
Ora, questi cittadini di diversi paesi, ma dalla comune discendenza africana, entreranno a far parte di una vera e propria organizzazione statuale il cui intento è “rafforzare l’Africa attraverso la diaspora e la diaspora attraverso l’Africa”. La dichiarazione di intenti è di un gruppo di lavoro che da qualche anno si sta impegnando su quest’obiettivo.
Nel 2014, l’allora presidente dell’Unione Africana, il mauritano Mohamed Ould Abdel Aziz, diede mandato di mettere in piedi le istituzioni che avrebbero rappresentato la diaspora africana. Nacque così, nel 2018, lo “Stato della diaspora africana” con primo ministro Louis-Georges Tin, francese nativo della Martinica, già presidente del Cran (Consiglio rappresentativo delle associazioni nere di Francia).
Uno Stato che sarà ufficializzato il prossimo 24 ottobre nel corso di una riunione generale fissata a Parigi e che ha già una sua Costituzione, un governo e una sede centrale ad Accompong, in Giamaica. Luogo colmo di storia del periodo della tratta ma anche simbolico.
Accompong e la Giamaica furono infatti l’avanguardia della resistenza dei neri verso gli schiavisti (erano chiamati maroons gli schiavi fuggiti dalla morsa dei loro “padroni”). Una lotta che fece moltissime vittime ma che ebbe l’effetto voluto. Nel XVIII secolo i “ribelli” ottennero dalla corona britannica il riconoscimento della propria sovranità su quel territorio e dunque l’indipendenza.
Nel continente africano – hanno spiegato i fautori di questa storica iniziativa – ci sono cinque regioni: Africa settentrionale, Africa centrale, Africa occidentale, Africa orientale, Africa del Sud. La diaspora africana costituisce la “sesta regione”. Di questa nuova regione e dei suoi cittadini dovranno occuparsi i 22 ministeri che sono stati suddivisi in macro aree di intervento: economia e tecnologia, diplomazia e sicurezza, questioni sociali e culturali.
Tra i temi che il governo dello Stato della diaspora intende affrontare ci sono quelli riguardanti la proprietà delle terre, la restituzione dei manufatti artistici sottratti durante la tratta atlantica e nel periodo coloniale, la creazione di una banca della diaspora africana a cui sarà affidata la gestione delle rimesse ma anche la concessione di crediti.
E ancora: la fondazione di una banca del cibo per intervenire in casi di emergenze umanitarie, un fondo di investimento per garantire la diffusione (anche in Europa) dei prodotti agricoli africani, una banca genetica panafricana, la creazione di una Università digitale per l’Africa e di una Silicon Valley, sorta di “città digitale” (già scelta la sede, a Gibuti).
E poi la formazione di brigate internazionali – in collaborazione con l’Unione Europea e l’Unione Africana – con lo scopo di combattere il traffico di esseri umani in Libia.
Nelle intenzioni del governo di questo particolare Stato c’è anche la costituzione di un “osservatorio sull’afrofobia”, che diventerà una sorta di archivio di casi da tutto il mondo per renderne partecipi politici ed esponenti della società civile al fine di combattere il razzismo.
I cittadini dello Stato della diaspora avranno un documento d’identità che garantirà il loro status ma anche un passaporto panafricano biometrico, i cui termini di rilascio sono al momento in discussione con l’Unione Africana.
Il 24 ottobre sarà il momento in cui si proverà a coinvolgere, per la prima volta, l’Unione Europea in questo progetto. L’iniziativa è infatti andata avanti in questi anni silenziosamente ma per affrontare le questioni che si propone non può prescindere da un riconoscimento da parte delle forze politiche, istituzionali e sociali internazionali.
Tra gli obiettivi del governo dello Stato della diaspora c’è inoltre una riparazione per i danni causati dalla tratta (che non si sa ancora come possa essere valutata). Non è chiaro se ci siano stati contatti anche con i leader africani o quanto la diaspora anglofona, francofona e lusofona, siano unite e concordi sulle iniziative finora prese.
In un’intervista al canale televisivo France24 Louis-Georges Tin ha detto: «Si tratta, fondamentalmente, di un progetto di auto riabilitazione. Con questa iniziativa stiamo ponendo rimedio alle tragedie del passato. Gli Stati sono spesso creati a seguito di una secessione, di una tragedia o di una guerra. Noi siamo nati da una volontà di riunirci, in pace e in uno spirito di apertura. Questo è ciò che ci rende così unici».