Raddoppiare i rimpatri: il governo resuscita i CIE e le associazioni insorgono

idi ita“La vita vale molto di più di una frontiera”: è questo lo slogan con cui diverse associazioni e movimenti, tra cui Asgi, Amnesty International Lazio, A buon diritto e molte altre, si sono date appuntamento il 25 gennaio di fronte a Montecitorio.

di Anna Toro

“La vita vale molto di più di una frontiera”: è questo lo slogan con cui diverse associazioni e movimenti, tra cui Asgi, Amnesty International Lazio, A buon diritto e molte altre, si sono date appuntamento il 25 gennaio di fronte a Montecitorio. Lo scopo: protestare contro il nuovo “piano immigrazione” – preannunciato da una circolare diramata il 30 dicembre dal capo della polizia Franco Gabrielli – che il neoministro dell’Interno Marco Minniti presenterà alla Commissione Affari Costituzionali e successivamente alla Conferenza stato regioni. “Il governo vuole tornare al medioevo dei diritti umani ripristinando gli accordi di rimpatrio della vergogna e aprendo nuovi centri di detenzione sul territorio” affermano gli organizzatori. Nel mirino, infatti, l’annunciata riapertura dei “famigerati” CIE, ma non solo: nel nuovo “pacchetto” messo a punto dal governo ci sarebbe la volontà di stipulare nuovi accordi bilaterali con i paesi di provenienza e di riformare in senso restrittivo le norme sul diritto di asilo, con lo scopo di aumentare la stretta sui migranti irregolari presenti nel territorio italiano.

In teoria, lo scopo principale sarebbe quello di raddoppiare le espulsioni, portandole dalle attuali 5mila a 10mila unità. Cardine di questa “nuova” strategia sarebbero proprio i Cie, che per l’occasione cambieranno nome, passando da Centri di Identificazione ed Espulsione a Centri di Permanenza per il Rimpatrio (Cpr). La sostanza, però, rimane la stessa – strutture per la detenzione amministrativa, chiuse e sorvegliate, assimilabili a quelle carcerarie – soltanto saranno di più e sparsi nel territorio. Se oggi i Cie rimasti attivi in Italia sono quattro (a Caltanissetta, Torino, Brindisi e Roma) la volontà del neoministro dell’Interno sarebbe infatti quella di aprirne uno in ogni regione, escludendo la Valle d’Aosta e il Molise. Una ventina, quindi, da collocare lontani dai centri delle città e preferibilmente vicino agli aeroporti. Si tratterà di strutture piccole, da massimo cento posti, e all’interno vi lavoreranno i poliziotti, che avranno in carico le procedure di identificazione ed espulsione, mentre un “garante” – uno per ogni Cie – si occuperà di verificare il rispetto dei diritti umani.

Non bisogna dimenticare infatti che, dalla loro fondazione nel 1998 ad oggi, all’interno dei Cie si sono registrate violenze, rivolte, suicidi, episodi di autolesionismo e situazioni di degrado estremo. Il report Morti di Cie ha denunciato oltre venti morti all’interno di questi centri. Per non parlare delle numerose irregolarità, a partire dai rimpatri di massa, nonché di persone a cui non è stata data nemmeno la possibilità di informarsi sui propri diritti. Fattori, questi, che hanno portato gradualmente alla loro chiusura, anche se non del tutto: al 31 dicembre 2016 nei 4 Cie rimasti attivi in Italia risultavano trattenute in regime di detenzione amministrativa 288 persone. “Il dibattito sulla riapertura di un Centro di Identificazione ed Espulsione per regione è surreale, non tiene conto del loro fallimento storico certificato da rapporti istituzionali, nonché da numeri e sentenze” ha dichiarato tra gli altri Patrizio Gonnella, presidente della Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti civili (CILD), che nei giorni scorsi ha pubblicato un dossier riassuntivo dal titolo “CIE: cosa ci dicono gli ultimi 20 anni?

numeri, da soli, basterebbero a decretarne l’inutilità rispetto alla loro funzione: nel 2016, a fronte di circa 30 mila migranti per cui è stato firmato il provvedimento di espulsione, ne sono stati rimpatriati 5 mila. Il problema non è solo l’enorme costo dei rimpatri, ma anche le resistenze dei paesi di origine con cui ora il governo italiano vorrebbe stringere nuovi accordi di riammissione. Attualmente, i paesi che hanno formalizzato queste intese sono Egitto, Tunisia, Nigeria e Marocco, ed esistono degli accordi di collaborazione con la polizia del Gambia e del Sudan. Paesi che sono o fortemente instabili o in cui, come l’Egitto di al Sisi, la repressione interna è la regola. “Molti e molte, in caso di rientro, rischiano la vita o quantomeno di subire quei trattamenti inumani e degradanti per cui l’Italia più di una volta si è trovata a dover rendere conto di fronte alla Corte Europea” scrive l’Adif, Associazione Diritti e Frontiere. Per non parlare della tanto agognata intesa con la Libia, il principale paese di transito della rotta del Mediterraneo, tutt’oggi lacerato dalla guerra civile: qui i migranti africani vengono trattenuti per lunghissimi periodi in centri di detenzione in cui subiscono torture, stupri e abusi di ogni tipo.

Se Cie e rimpatri sono gli elementi principali su cui sembra si stia fondando questo nuovo “pacchetto immigrazione”, il governo italiano starebbe valutando anche una sorta riforma del sistema d’asilo, con l’abolizione del grado di appello per i richiedenti asilo che hanno ricevuto un diniego in primo grado; insieme a questo provvedimento si parla anche di obbligo, per chi arriva in Italia ed effettua la richiesta di asilo, di svolgere lavori socialmente utili in attesa di ottenere risposta all’istanza, con tanto di convenzioni di stage con aziende pubbliche e private. Un modo, anche questo, per marcare il “doppio binario” tra profughi e irregolari.

Un sistema incoerente, che le associazioni laiche e cattoliche denunciano da sempre: l’immigrazione, infatti, da fenomeno strutturale quale è, non si affronterebbe chiudendo ogni strada per l’ingresso legale – in questo modo lasciarsi dietro la scia di morti è inevitabile, così come la produzione di un esercito di “irregolari” spesso soggetti a sfruttamento e caporalato. Così, si pensa che, alla base di questo “ritorno al passato” del governo, non ci sia altro che la campagna elettorale in arrivo in cui, come al solito, le persone migranti verranno strumentalizzate dagli schi
eramenti politici
, alimentando la guerra fra poveri e l’ondata populista che vede lo straniero e il più debole come la causa di tutti i mali e il nemico da additare. “Di fronte a questa gelata invernale sui diritti umani e sulla solidarietà occorre reagire con un progetto di attività basato sul monitoraggio e l’ascolto, sulla denuncia, sulla comunicazione e sull’intervento diretto a fianco delle comunità migranti alle quali va riconosciuto e garantito il protagonismo che possono esprimere – scrivono su Articolo 21 lo studioso Fulvio Vassallo Paleologo e l’avvocata Alessandra Ballerini, entrambi esponenti della campagna LasciateCIEntrare – Sul piano della comunicazione si devono sconfiggere gli allarmi che sovrappongono immigrazione a terrorismo dimostrando che solo l’inclusione dei migranti e la loro corresponsabilizzazione potranno garantire sicurezza”.

Fonte: http://www.unimondo.org/Notizie/Raddoppiare-i-rimpatri-il-governo-resuscita-i-CIE-e-le-associazioni-insorgono-163090 23.01.2017

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