Un rimpallo di responsabilità tra Italia, Malta, Europa e Tunisia tiene in un limbo una nave con a bordo 40 naufraghi, a bordo anche feriti e una donna incinta. Nel frattempo dopo il salvataggio di mercoledì, Open Arms fa rotta verso nord e nella zona SAR non rimane nessuna nave umanitaria. Da est arriva poi la notizia di un nuovo naufragio: 19 morti e 25 dispersi a nord di Cipro
Ottavia Spaggiari
Un rimpallo di responsabilità tra Italia, Malta, Europa e Tunisia tiene in un limbo una nave con a bordo 40 naufraghi, a bordo anche feriti e una donna incinta. Nel frattempo dopo il salvataggio di mercoledì, Open Arms fa rotta verso nord e nella zona SAR non rimane nessuna nave umanitaria. Da est arriva poi la notizia di un nuovo naufragio: 19 morti e 25 dispersi a nord di Cipro
Continua il caos nel Mare Nostrum e con il caos si moltiplicano le tragedie. L’ultima conosciuta ieri, quando l’Ong Proactiva Open Arms ha trovato, nelle acque a circa miglia dalle coste libiche i resti di un naufragio. I volontari hanno recuperato i corpi senza vita di una donna e di un bimbo di un’età che potrebbe essere compresa tra i 3 e i 5 anni.
Unica sopravvissuta una donna camerunense scappata dal Paese, per fuggire alle violenze del marito. Josefa, questo il suo nome, ha passato due giorni aggrappata ad un pezzo di legno, lottando tra la vita e la morte, nella speranza che qualcuno arrivasse a salvarla. È stata portata sulla nave dell’Ong, ancora sotto shock e in principio di ipotermia. Le foto dei suoi occhi sgranati dopo aver visto l’inferno stanno facendo il giro del mondo. Annalisa Camilli, giornalista di Internazionale a bordo dell’imbarcazione di Open Arms ha riportato che, una volta in salvo, la donna ha raccontato di non ricordare da dove è partita e di non sapere dove fossero gli altri naufraghi, spiegando però che ad un certo punto del viaggio sono arrivati dei “poliziotti libici” che “hanno cominciato a picchiarci”. Camilli scrive inoltre che Josefa continuava a ripetere «come in una preghiera, una litania sussurrata con un filo di voce. “Pas Libye”». Non la Libia.
Le due imbarcazioni dell’Ong, Astral e Open Arms, tornate in mare pochi giorni fa, stanno facendo rotta verso nord, probabilmente il porto in cui potranno sbarcare la sopravvissuta e i due corpi saranno la Spagna. Sempre Camilli ha raccontato via Twitter che, poiché a bordo non ci sono celle frigorifere, il corpo del bimbo è stato trasferito in un container con del ghiaccio.
L’Ong ha accusato la Guardia Costiera Libica di essere responsabile dell’omissione di soccorso nei confronti delle due donne e del bambino.
«La Guardia Costiera Libica aveva dichiarato di aver intercettato un’imbarcazione con 158 persone a bordo e di aver offerto loro assistenza medica e umanitaria. Ciò che non hanno detto è che hanno lasciato due donne e un bambino a bordo perché non volevano salire sulle motovedette», ha scritto su Twitter Oscar Camps, fondatore di Open Arms che oggi ha inviato una lettera alla Commissione Europea per presentare la propria denuncia.
La Marina libica nel frattempo ha negato le accuse. A bordo della motovedetta che potrebbe aver effettuato il salvataggio c’erano anche due giornalisti: Nadja Kriewald, dell’emittente tedesca Rtl e un freelance libico Emad Matoug, che hanno raccontato di non avere visto altre persone in mare, anche se era molto buio. Ugo Gumpel, corrispondente italiano di Rtl ha riportato sulla sua pagina Facebook la testimonianza della collega: «I profughi mi hanno raccontato che il gommone era gia da tre giorni in viaggio. le persone a bordo erano molto dispiaciute di non essere arrivate in Italia, ma dato lo stato di salute, da tre giorni senza mangiare né bere, erano quasi in fin di vita e secondo quello che ho visto io si sono fatti salvare tutti – nessuno si è rifiutato di salire a bordo». Gumpel ha poi aggiunto: «Quello che Nadja non può confermare certamente, data la situazione notturna, è non ci fosse rimasto nessuno a bordo». Rimane ancora da chiarire se il naufragio di cui è stata vittima Josefa, fosse lo stesso in cui è intervenuta la motovedetta con a bordo Kriewald.
Verso la Spagna
All’Ong era stata data la disponibilità dall’Mrcc di Roma di approdare a Catania, ma la proposta è stata rifiutata. «La Open Arms chiede alla MRCC spagnola di assumere il coordinamento dell’operazione SAR» ha dichiarato l’organizzazione. «La richietsa nasce dalla considerazione che l’ipotesi di approdare in un porto italiano – la possibilità di Catania è stata comunicata solo alle 23.04 di martedì – presenta comunque molteplici fattori critici. Il primo costituito dal ministro dell’interno italiano, Matteo Salvini, che ha definito Bugie e insulti la documentazione offerta attraverso la pubblicazione delle tragiche immagini, dell’area di mare dove è avvenuta l’operazione condotta dalla Guardia Costiera libica». Inoltre «il reiterato annuncio di una sorta di contro inchiesta o contro versione rispetto alla probabile dinamica dei fatti accaduti lunedì sera, inducono preoccupazione rispetto alla tutela della donna sopravvissuta e della sua piena libertà di rendere testimonianza in condizioni di tranquillità e sicurezza. Tutto ciò mentre la Commissione Europea, l’Onu, la Corte Europea dei Diritti Umani e l’Alto Rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri,ribadiscono che la Libia non è in alcun modo un porto sicuro. Per tutte queste ragioni abbiamo deciso di indirizzare le nostre navi verso le coste spagnole».
Con la ripartenza di Open Arms, non rimangono più imbarcazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo.
40 persone bloccate in mare
Continua il lungo limbo di Sarost 5, la nave da rifornimento di proprietà della società che gestisce la piattaforma di estrazione Miskar, che domenica scorsa ha salvato 40 persone partite dalla Libia in una barca di legno. Secondo la ricostruzione, inizialmente la Tunisia aveva dato la disponibilità all’attracco, per poi ritirarla subito dopo, è così che la nave ha fatto richiesta di un porto a Italia e Malta, senza successo. Al momento si trova, ormai da giorni, ancorata al largo delle coste tunisine. A riportare la notizia Infomigrants. Secondo le fonti a bordo, l’acqua e le scorte alimentari basteranno solo per due giorni.
Nuova tragedia a nord di Cipro
È arrivata giovedì la notizia di una nuova strage. A nord di Cipro 19 persone sono morte e 25 disperse nel naufragio di un barcone avvenuto a circa 16 miglia al largo del villaggio costiero di Yeni Erenkoy. 103 persone sono state portate in salvo. Dalle fonti risulta che tutti i passeggeri fossero siriani. Secondo Unhcr sono almeno 1.410 le persone annegate nel Mediterraneo dal 1 gennaio 2018. Si tratta di una stima da considerare per difetto, poiché questo dato si riferisce solo alle perdite che l’Alto Commissariato Onu è riuscito a tracciare.
Fonte: VITA