Libia, la sfida umanitaria: aumentano gli sfollati, mentre lo staff internazionale diminuisce e lo Stato non esiste

La testimonianza del capo missione dell’UNHCR alla Commissione Esteri della Camera. Il costante aumento dei bisogni umanitari, con quasi un milione di persone bisognose di assistenza

ROMA – Jean Paul Cavalieri, capo missione in Libia per l’UNHCR, durante una seduta alla Commissione Esteri della Camera dei deputati, nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulla politica estera dell’Italia per la pace e la stabilità nel Mediterraneo, sottolinea una situazione di costante aumento dei bisogni umanitari sul terreno, con centinaia di bambini, donne e uomini sfollati e tantissime sfide umanitarie, con quasi un milione di persone bisognose di assistenza umanitaria, secondo le stime dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (OCHA). Nel 2019, secondo le cifre dell’ONU sono stati almeno 284 i civili  morti e altri 363 rimasti feriti a seguito del conflitto armato.

A Tripoli aumentano gli sfollati. E’ in costante aumento il numero degli sfollati a Tripoli, che hanno bisogno di assistenza umanitaria sul terreno. Nonostante la crisi, il paese continua ad attirare manodopera straniera: si stima che 655.000 rifugiati e migranti siano in Libia anche per motivi di lavoro, inclusi 43.000 rifugiati e richiedenti asilo registrati dall’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati. Tuttavia, le condizioni di sicurezza nel Paese continuano ad esporre a rischi di protezione, violazioni dei diritti umani, sfruttamento e abusi centinaia di migliaia di migranti che rimangono intrappolati nei centri di detenzione“

ROMA – Jean Paul Cavalieri, capo missione in Libia per l’UNHCR, durante una seduta alla Commissione Esteri della Camera dei deputati, nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulla politica estera dell’Italia per la pace e la stabilità nel Mediterraneo, sottolinea una situazione di costante aumento dei bisogni umanitari sul terreno, con centinaia di bambini, donne e uomini sfollati e tantissime sfide umanitarie, con quasi un milione di persone bisognose di assistenza umanitaria, secondo le stime dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (OCHA). Nel 2019, secondo le cifre dell’ONU sono stati almeno 284 i civili  morti e altri 363 rimasti feriti a seguito del conflitto armato.

A Tripoli aumentano gli sfollati. E’ in costante aumento il numero degli sfollati a Tripoli, che hanno bisogno di assistenza umanitaria sul terreno. Nonostante la crisi, il paese continua ad attirare manodopera straniera: si stima che 655.000 rifugiati e migranti siano in Libia anche per motivi di lavoro, inclusi 43.000 rifugiati e richiedenti asilo registrati dall’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati. Tuttavia, le condizioni di sicurezza nel Paese continuano ad esporre a rischi di protezione, violazioni dei diritti umani, sfruttamento e abusi centinaia di migliaia di migranti che rimangono intrappolati nei centri di detenzione“.

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Diminuiti i migranti in detenzione. Dei 43.000 richiedenti asilo registrati con l’UNHCR in Libia, circa 2000 sono trattenuti arbitrariamente in detenzione. Il numero, sottolinea Jean Paul Cavalieri, è diminuito. Se da una parte le evacuazioni dell’Agenzia continuano ad offrire soluzioni salvavita per i rifugiati più vulnerabili, dall’altra “le autorità del Ministero dell’Interno del Governo libico di Accordo Nazionale (GNA), a causa del conflitto, sono incapaci di assicurare cibo e decidono di aprire le porte dei centri di detenzione”, spiega Cavalieri. In altre situazioni i centri di detenzione, infatti, sono stati utilizzati dalle stesse milizie come basi militari; come quello di Tajoura, bombardato lo scorso luglio. Il centro di detenzione è vicino a un deposito di rifornimenti militari per la milizia che sostiene il Governo di Tripoli riconosciuto dalle Nazioni Unite.

Le sfide sul terreno sono enormi. A seguito dei continui combattimenti e del conflitto in corso in tutto il Paese, con oltre 217.000 persone sfollate, l’Agenzia delle Nazioni Unite non ha accesso a tutte le persone bisognose di assistenza umanitaria in Libia. “E molto difficile raggiungere le persone nel sud della Libia, dove ci sono moltissimi sfollati, oppure nella zona di Bengasi”, continua Paul Cavalieri. La scorsa estate a Bengasi, tre funzionari delle Nazioni Unite e altre due persone erano stati uccisi in un attentato nella capitale della Libia orientale. “La presenza è molto limitata sul terreno e il personale insufficiente per gestire le sfide”, aggiunge Cavalieri. A causa del conflitto c’è stata una drastica riduzione dello staff dell’UNHCR nel Paese, con solo 7 operatori internazionali che lavorano per l’Agenzia delle Nazioni Unite.

Milizie e debole struttura statale libica. Gli equilibri di potere e le alleanze hanno una geometria variabile in una Libia costantemente alla ricerca della stabilità e di un delicato processo politico, animato da simmetrie tribali che frammentano i confini dello stato libico. La rivalità locali, regionali e nazioni che esistono anche all’interno del governo di Tripoli, riconosciuto dalle Nazioni Unite, intricano le relazioni dell’Agenzia delle Nazioni Unite; “non è sempre chiaro capire qual è la catena di potere e di comando”, spiega Jean Paul Cavalieri, capo della missione in Libia dello United Nations High commissioner for Refugees (Unhcr). Esistono infatti diversi interlocutori all’interno del ministero degli interni e una struttura verticale, ma anche una orizzontale; “se parliamo con il ministro dell’Interno libico, e poi con il suo vice, con quest’ultimo comincia un nuovo negoziato. I funzionari sono fedeli ai loro superiori, ma anche alle tribù da cui provengono”, continua il capo della missione in Libia per l’UNHCR, e spiega alla commissione Esteri “le milizie sono, di fatto, i nostri interlocutori, ma anche i rappresentanti ufficiali designati del ministero dell’Interno”.

Italia rimane in prima linea su evacuazioni. Dal settembre 2017 sono state oltre 4.000 le persone evacuate dalla Libia, di cui circa 3000 in Niger nel quadro del meccanismo di transito d’emergenza dell’UNHCR finanziato dall’UE. Nel 2019 sono state evacuate 2.500 persone, con il Massimo il supporto ricevuto dall’ambasciata italiana a Tripoli, e oltre 800 evacuazioni dirette in Italia. Rimane però allarmante la situazione dei rifugiati nelle zone urbane, con persone che pagano per accedere ai centri di detenzione nella speranza che l’Unhcr possa identificarli e ricollocarli in altri Paesi. Centinaia di migliaia di persone lottano per la loro sopravvivenza quotidiana, incluso lo staff dell’organizzazione “che si deve spostare ogni giorno attraversando dei checkpoint dove gli viene anche puntata una pistola alla tempia, spiega il capo dell’UNHCR in Libia, e conclude, “ci sono anche molti esempi di matrimoni precoci o di lavoro minorile”.

Guardia costiera libica e sbarchi in Libia. Alla Commissione della Camera italiana, il rappresentante dell’UNHCR in Libia sottolinea come il 30-35% dei migranti intercettati in mare sia abbandonato “al loro destino” a terra, poiché “il conflitto ha interrotto il collegamento che esisteva tra la Guardia costiera libica e il ministero dell’Interno”, dichiara Cavalieri. I richiedenti asilo che vivono fuori dai centri di detenzione, ovvero la maggioranza, cercano il supporto dell’organizzazione, ma non sempre il Centro comunitario diurno (Community Day Centre/CDC) dell’UNHCR attivo a Gurji, nel distretto di Tripoli, riesce a fornire assistenza umanitaria per rifugiati e richiedenti asilo. Il pacchetto di assistenza monetaria urbana dell’UNHCR in Libia ha raggiunto soltanto il 5% della popolazione, sottolinea il rappresentante dell’UNHCR e “cercheremo di aumentare il programma nel 2020”.

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