È di ieri la notizia che 50 migranti soccorsi dalla nave Diciotti si sono allontanati dalla struttura dove erano ospitati. E subito uno scandalizzato coro digitale ha commentato la vicenda ” È l’ennesima conferma che non tutti quelli che arrivano in Italia sono scheletrini che scappano dalla guerra e dalla fame”.
Se proprio volessimo essere precisi, il termine scheletrini deriva da quello usato dai soccorritori per definire le condizioni fisiche dei minori sbarcati: “Nave Diciotti, soccorritori: I minori sbarcati erano 27 scheletrini”.
Ma non è questo il punto.
Il punto è che appare ormai chiaro come una larga parte della politica e dell’informazione del nostro paese abbia già deciso in anticipo quali debbano essere le caratteristiche fondamentali dei cosiddetti “profughi” e non tollerino che se ne discostino per nessun motivo: il migrante deve essere umile, bisognoso di tutto, sfigato e disposto a qualsiasi trattamento in ragione di queste sue caratteristiche. Oppure: aggressivo, terrorista potenziale e menefreghista. Non è concepibile che un migrante sia, in una fase della sua vita, bisognoso di tutto, senza che per questo non abbia un suo progetto (una vita migliore, raggiungere i suoi parenti, lavorare) e che quindi in un a seconda fase, possa cercare di perseguire tale progetto. Capita così a tutti, tutti i giorni, anzi è alla base del nostro sogno, sempre più chimerico, di evoluzione personale e sociale. Ma non può capitare ai migranti. Essi devono avere soltanto alcune delle caratteristiche da noi socialmente accettate e non altre. In questo senso sono molto più simili a “cose”, oggetti fatti e finiti e non modificabili, che non ad esseri umani.
Ricordate in tal senso Josepha, unica sopravvissuta al naufragio, ritrovata dopo un giorno aggrappata a quel che restava di un gommone distrutto? Quando uscirono delle sue foto con lo smalto sulle unghie infuriò la polemica che infuria oggi sugli “scheletrini”. Perché non era possibile pensare che una donna si fosse messa lo smalto e poi si fosse imbarcata. Sfuggiva in tal caso alla categoria “sfigata”. Poi si scoprì che lo smalto era stato applicato dopo il salvataggio e molti tirarono un sospiro di sollievo: le categorie erano salve!
Eppure esattamente il 2 settembre di tre anni fa tutto il mondo fu colpito dalla fotografia del corpo del bambino siriano morto sulla spiaggia, vestito di tutto punto, come se stesse andando a scuola. Perché? Perché quella foto ci svelò in modo evidente che l’umanità è irriducibile, ci costrinse ad andare oltre le nostre categorie preconfezionate e percepire l’orrore e l’assurdità di quanto era avvenuto, con buona pace di tutti coloro che pensano che i migranti siano degni della nostra compassione solo se agiscono e sono esattamente come noi ce li immaginiamo. Invece il fenomeno migratorio ci fornisce, o meglio ci fornirebbe, proprio l’occasione di ripensare le nostre categorie, le nostre rappresentazioni e ri-comincare a desiderare, smettendo di avere paura.