Il traffico illegale dei diamanti dalle zone di conflitto avviene ormai attraverso gli smartphone, le chat e i social network. Lo denuncia l’ennesimo rapporto sui legami tra politica, risorse minerarie e conflitti in Centrafrica, documenti che chiamano direttamente in causa tutti gli attori presenti, e che vengono da anni sistematicamente ignorati.
Il traffico illegale dei diamanti dalle zone di conflitto avviene ormai attraverso gli smartphone, le chat e i social network. Lo denuncia l’ennesimo rapporto sui legami tra politica, risorse minerarie e conflitti in Centrafrica, documenti che chiamano direttamente in causa tutti gli attori presenti, e che vengono da anni sistematicamente ignorati.
di Elianna Baldi (da Bangui)
Global Witness è una Ong nata nel 1993, con sede a Londra e Washington, specializzata nella lotta contro il saccheggio delle risorse naturali nei paesi in via di sviluppo e la corruzione politica che li accompagna. Nel luglio 2015 pubblica un rapporto dal titolo: “Legno di sangue. Come l’Europa ha aiutato a finanziare la guerra nella Repubblica Centrafricana”. Due anni dopo, nel luglio 2017, esce un nuovo rapporto: “Caccia alle pietre. Mentre la comunità internazionale lavora con il governo centrafricano e le società diamantifere per stabilire delle catene legali di approvvigionamento, contrabbandieri e mercanti prosperano nel mercato nero”.
A questi si aggiungono altri sei rapporti scritti dal gruppo di esperti dell’Onu dal 2014 ad oggi, e tutti parlano del legame tra ribellione e sfruttamento illegale delle risorse. Uno di questi, diffuso nel dicembre 2016, parla addirittura di un’economia di guerra installata nel paese.
Centinaia di pagine continuano ad essere pubblicate, senza contare le numerose risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e la presenza di 12.000 militari della Minusca (la missione di peacekeeping dell’Onu nel paese), ma senza poter raccogliere alcun frutto.
Complicità eccellenti
Dal legno all’oro, dai bovini ai diamanti, tante sono le risorse che attirano l’appetito di grandi e piccoli, di politici, uomini d’affari e signori della guerra che vestono i panni di politici o businessman, o ambiscono a diventare tali. E i contingenti venuti per rimettere l’ordine, siano essi Sangaris (la missione francese) o Minusca, sono da sempre ritenuti complici di questi circoli viziosi.
I militari francesi, e purtroppo tutti i bianchi, erano comunemente chiamati “voleurs de diamants” (ladri di diamanti) dalla gente, che loro soprannominavano invece “voleurs de tolles” (ladri di latta), come se si potesse mettere sullo stesso piano il furto di lamiere che costano qualche dollaro dai tetti dei compatrioti, con quello di materie preziose per milioni di dollari dal sottosuolo centrafricano.
Anche l’uccisione della giornalista francese Camille Lepage, ufficialmente attribuita agli ex-Seleka, è considerato da fonti centrafricane affidabili un complotto francese per nascondere il frutto della ricerca della giovane freeland sul traffico di diamanti. Forse, per lei come per Ilaria Alpi e Miran Hrovatin in Somalia, un giorno si saprà la verità.
Embargo aggirato
Il processo di Kimberley nel 2013 ha messo sotto embargo il commercio dei diamanti centrafricani, ma nel 2016 l’embargo viene tolto parzialmente per la regione meridionale di Berberati. In maggio 2017 vengono confermate le sanzioni europee contro il Bureau d’achat des diamants centrafrique (Badica) e la sua filiale belga Kardiam, accusate d’aver finanziato Seleka e Anti-balaka.
Il rapporto degli esperti dell’Onu di dicembre 2016 parla di una triangolazione interna nel movimento delle pietre preziose, in modo da farne risalire l’origine nella zona libera da embargo. L’Onu stessa era stata accusata di aver finanziato Badica, e il rappresentante speciale del segretario generale dell’Onu in Centrafrica, Parfait Onanga-Anyanga, è sospettato di complicità con uno dei maggiori capi delle milizie.
La recente pubblicazione di Global Witness invece, mette in luce un sistema di contrabbando molto più complesso, fatto attraverso facebook e i social network. Una fitta rete di ricerca, acquisto, trasporto illegale al di là delle frontiere porose del Centrafrica, verso Congo, Sudan e soprattutto Camerun con aerei, veicoli e moto. Una volta fuori dalla Repubblica Centrafricana, una catena di funzionari corrotti procurano documenti validi che naturalizzano le pietre permettendone l’immissione nel mercato legale.
Un gran numero di commercianti centrafricani di diamanti sono giovani e ambiziosi, e si muovono lasciando le loro tracce sulla rete. Prima di internet, per creare una catena di approvvigionamento tra venditori centrafricani e mercati internazionali, passando per gli intermediari, ci volevano anni. Ora, con qualche click i negozianti si connettono direttamente con gli intermediari condividendo le loro foto, commentandole e scambiandosi quindi i contatti personali. L’affare si conclude attraverso Whatsapp o delle messaggerie private. I tempi sono ottimizzati. Le istituzioni internazionali e i governi che dovrebbero sorvegliare e controllare questi traffici, invece, non sono aggiornati e non usano tecnologie altrettanto moderne.
Richieste disattese
Il rapporto si conclude con un’ampia sezione dedicata alle raccomandazioni: al governo, all’Onu, a governi e istituzioni donatori, al Processo di Kimberley, alla Corte Penale Speciale (CPS), all’industria del diamante. Queste raccomandazioni assomigliano a tutte quelle pubblicate dal 2013 ad oggi, evidentemente inapplicate. E agli orecchi di chi vive in questa latitudine, suonano come altre parole inutili.
Al governo si chiede un controllo efficace sul territorio, in particolare sulle regioni ricche in minerali: come se non si sapesse che il governo centrafricano non controlla il 75% del suo territorio, che non ha un esercito nazionale e che le autorità dello stato non sono presenti in due terzi del paese, in mano a milizie di vario tipo, e che queste zone di guerra corrispondono anche alle ricche zone minerarie.
Alla CPS, poi, si chiede di indagare anche su chi ha finanziato la guerra con il commercio delle pietre preziose, ma il tribunale tarda ad avviare le inchieste a causa dell’insicurezza e della mancanza di strutture adeguate.
Intanto la gente continua a morire. I continui rapporti mostrano che non sono le informazioni che mancano. Quello che manca è la volontà politica di un vero cambiamento. Perché con la guerra e il disordine molti, e molto più facilmente, possono accaparrarsi pezzi del bottino centrafricano.
Fonte: http://www.nigrizia.it/notizia/diamanti-insanguinati-gli-sguardi-altrove/notizie 10.08.2017