Il Pontefice non ha citato il popolo perseguitato per non creare frizioni con la Birmania, ma ha elogiato Dacca per “la generosità che il mondo ha apprezzato”. Ha poi ricordato l’attentato dello scorso anno
Il Pontefice non ha citato il popolo perseguitato per non creare frizioni con la Birmania, ma ha elogiato Dacca per “la generosità che il mondo ha apprezzato”. Ha poi ricordato l’attentato dello scorso anno
dal nostro inviato PAOLO RODARI
DACCA – Elogia lo “spirito di generosità” e lo “slancio umanitario” con il quale il Bangladesh si è speso “a favore dei rifugiati affluiti in massa dallo Stato di Rakhine, provvedendoli di un riparo temporaneo e delle necessità primarie per la vita”. “Questo è stato fatto con non poco sacrificio”, dice. “Ed è stato fatto sotto gli occhi del mondo intero”.
Nello stesso tempo chiede che “la comunità internazionale attui misure efficaci nei confronti di questa grave crisi, non solo lavorando per risolvere le questioni politiche che hanno condotto allo spostamento massivo di persone, ma anche offrendo immediata assistenza materiale al Bangladesh nel suo sforzo di rispondere fattivamente agli urgenti bisogni umani”.
È da poco atterrato a Dhaka, l’immensa capitale del Bangladesh coi suoi quasi sedici milioni di abitanti, Papa Francesco, quando nel palazzo presidenziale, davanti alle autorità, alla società civile e al corpo diplomatico spende parole in difesa della minoranza islamica dello Stati di Rakhine, a lungo vessata dal governo dell’ex Birmania e costretta a fuggire oltre confine. E anche se preferisce non usare il termine Rohingya così inviso alle autorità birmane, le sue parole per “i rifugiati” sono un passo in avanti rispetto a quanto detto nei giorni scorsi a Rangoon e Nay pyi daw.
Francesco ricorda i criteri fondativi che hanno ispirato Sheikh Mujibur Rahman, il primo ministro del Bangladesh dopo l’indipendenza raggiunta nel 1971. Il 15 agosto1975 un gruppo di ufficiali dell’esercito invasero la capitale e la residenza presidenziale, con un paio di divisioni meccanizzate e uccisero Mujib, parte della sua famiglia e del personale di servizio. Egli, ricorda Francesco, immaginava il Bangladesh come “società moderna, pluralistica e inclusiva”, una società in cui “ogni persona e ogni comunità potesse vivere in libertà, pace e sicurezza, nel rispetto dell’innata dignità e uguaglianza di diritti di tutti”.
Per il vescovo di Roma le diversità sono un valore, un bene da salvaguardare: “Solo attraverso un dialogo sincero e il rispetto della legittima diversità – dice – un popolo può riconciliare le divisioni, superare prospettive unilaterali e riconoscere la validità di punti di vista differenti. Perché il vero dialogo guarda al futuro, costruisce unità nel servizio del bene comune ed è attento ai bisogni di tutti i cittadini, specialmente dei poveri, degli svantaggiati e di coloro che non hanno voce”.
Papa Bergoglio ricorda anche il “brutale attacco terroristico dell’anno scorso qui a Dhaka”. Accadde nella notte del 1º luglio. Sette terroristi islamisti aprirono il fuoco all’interno del ristorante Holey Artisan Bakery situato nel quartiere diplomatico di Gulshan della capitale, non distante dall’ambasciata italiana. Dopo aver lanciato alcune granate a mano presero in ostaggio alcune decine di avventori e ucciso due poliziotti. 22 civili e 5 attentatori morirono durante l’attacco. Francesco ricorda in proposito il “chiaro messaggio inviato dalle autorità religiose della nazione per cui il santissimo nome di Dio non può mai essere invocato per giustificare l’odio e la violenza contro altri esseri umani nostri simili”.
Fonte: http://www.repubblica.it/vaticano/2017/11/30/news/papa_francesco_bangladesh_rohingya-182613159/ 01.12.2017