Sea Watch, Open Arms e Mediterranea tornano nel Mediterraneo centrale. “La nostra è una chiamata all’impegno rivolta a tutte le città europee, ai sindaci, ai cittadini, ai movimenti, alle organizzazioni, alla società civile e a chiunque creda nella nostra missione. Nessuno deve rimanere in silenzio”
23 novembre 2018
ROMA – Sea Watch, Open Arms e Mediterranea tornano nel Mediterraneo centrale, “il confine più pericoloso al mondo”, per una missione congiunta di ricerca e salvataggio. La “flotta umanitaria” è già in queste ore in mare: “I movimenti migratori non sono né un’emergenza da risolvere né tantomeno un flusso che può essere arrestato, ma piuttosto un fenomeno che esiste sin dalle origini dell’umanità – scrivono le ong in una nota -. Il Mar Mediterraneo è diventato il confine più pericoloso al mondo con oltre 17 mila morti negli ultimi 5 anni. La perdita di queste vite umane ha avuto un prezzo altissimo, ha significato per l’Europa la rinuncia alle tradizioni democratiche su cui è fondata, ai suoi valori di solidarietà e di rispetto dei Diritti Umani, mentre il fallimento delle sue politiche migratorie ha messo in discussione i principi fondanti dell’Unione stessa”.
1 persona su 5 muore nel Mediteranneo “enorme fossa comune”. Nel loro manifesto le tre organizzazioni accusano i governi di aver finanziato paesi terzi, dittature e stati instabili in mano a milizie armate come la Libia, “con l’obiettivo di impedire alle persone in fuga da guerre e persecuzioni di raggiungere l’Europa. Ogni giorno assistiamo alla violazione delle Convenzioni Internazionali sul salvataggio marittimo e dei diritti basilari delle persone in movimento – scrivono -. Inoltre, una crescente campagna di criminalizzazione contro le persone migranti così come contro le organizzazioni umanitarie che operano in loro difesa, ha di recente assunto le proporzioni di una vera e propria strategia governativa e giudiziaria volta a trasformare la solidarietà verso persone in difficoltà in un reato da perseguire. Nel settembre 2018, una persona su cinque è deceduta nel tentativo di attraversare il Mediterraneo, la media più alta mai registrata, diretta conseguenza dell’azzeramento da parte dei governi europei della maggior parte degli assetti umanitari presenti in quelle acque, rimaste ormai senza soccorsi né testimoni. Questa feroce alleanza, che ha trasformato i suoi confini meridionali in un’enorme fossa comune, non rappresenta l’Europa in cui vogliamo vivere. Noi crediamo in un’Europa che accoglie, solidale, inclusiva, che abbia come priorità il rispetto e la difesa della vita e dei diritti nonché delle sue tradizioni democratiche e non ci rassegniamo all’idea che essa abbia rinunciato ai suoi principi e perso la sua umanità.
Una flotta umanitaria aperta a tutti i cittadini: “Nessuno rimanga in silenzio”. Le tre ong hanno dunque deciso di costruire un’alleanza per un’”Europa solidale”, in mare e a terra. Una “flotta umanitaria” formata dalle imbarcazioni di Mediterranea, Open Arms e Sea-Watch, ma aperta a chiunque voglia unirsi. “E’ una flotta sostenuta da una solida rete di città solidali, movimenti e organizzazioni della società civile in tutto il mondo, uniti dall’obiettivo comune di difendere diritti fondamentali come la vita e la dignità – spiegano – Dimostreremo che la società civile è capace non solo di sperare in una nuova Europa ma di saper costruire società democratiche che tornino a difendere la vita in mare e a organizzare un sistema di accoglienza più giusto. La nostra è una chiamata all’impegno rivolta a tutte le città europee, ai sindaci, ai cittadini, ai movimenti, alle organizzazioni, alla società civile e a chiunque creda nella nostra missione, affinché si unisca a noi, affinché sia parte della nostra alleanza civile e combatta insieme a noi per un futuro di rispetto e uguaglianza”. Nel manifesto-appello chiedono a tutti di non rimanere in silenzio, “di gridare contro le politiche ingiuste e disumane dei governi europei. Quello che vi chiediamo è di essere cittadini consapevoli, attivisti, di pretendere il rispetto delle nostre costituzioni e della nostra storia – concludono -. Quello che vi chiediamo è di essere al nostro fianco e di dimostrare insieme che un altro mondo è ancora possibile”.
“Non vogliamo vivere in un’Europa così”. “Stiamo dando una risposta solidale e europea allo stato di emergenza alimentato e legittimato dagli stati membri nel Mar Mediterraneo. Quello che stiamo facendo è ispirato agli ideali di solidarietà e di tutela dei diritti umani, fondativi della stessa Ue”, afferma il presidente di Sea-Watch e Capo Missione a bordo, Johannes Bayer.
“Non vogliamo vivere in un’Europa che come deterrente ha trasformato i suoi confini marittimi in una fossa comune delegandone la responsabilità ai libici – continua Johannes Bayer -. Ci consideriamo parte di un’alleanza per un’Europa umana in mare, a terra e nell’aria. Un’Europa di porti sicuri, città e comunità basati sulla solidarietà. Fino a quando l’Unione europea lascerà morire persone nel Mediterraneo, noi continueremo ad andare in mare”.
“Lo spazio per l’azione umanitaria nel Mediterraneo si è ridotto al punto di rendere estremamente difficile salvare vite umane. Chiediamo che si onori il dovere di soccorrere chiunque si trovi in difficoltà in mare, mentre gli sforzi europei si dovrebbero concentrare sulla stabilizzazione e la creazione di vie legali e sicure nei paesi d’origine, di transito e in Libia, per fare in modo che nessuno si trovi più assorbito nella spirale del traffico, che costringe le persone a attraversare il Mediterraneo su mezzi di fortuna”, afferma Giorgia Linardi, portavoce di Sea-Watch in Italia. Che continua: “Torniamo in mare con l’incoraggiamento e il supporto delle Nazioni Unite, dopo che 11 Relatori Speciali dell’Alto Commissariato dei Diritti Umani hanno denunciato la politica di criminalizzazione delle Ong in mare portata avanti dall’Italia. Chiediamo tutto il supporto della società civile, delle amministrazioni locali, per mostrare che un’Europa più umana è non solo possibile, ma doverosa, e l’unica che i suoi abitanti possano desiderare”.