Siamo ormai in vista delle elezioni europee e le questioni dell’immigrazione e dell’asilo occupano un posto centrale sia a Bruxelles sia all’interno dei Paesi membri. Un tema un tempo abbastanza marginale è diventato prioritario nei pronunciamenti governativi, nei programmi dei partiti e nelle preferenze degli elettori. Una nuova domanda di confini e di più rigida regolazione degli accessi è il tratto saliente del dibattito. Partiti politici anti-sistema sempre più forti e alcuni governi, tra cui il nostro, si sono impadroniti di questo vessillo, marcando in molti modi le differenze tra “noi” e “loro”.
Le istituzioni dell’Unione Europea e i governi meno inclini alla deriva “sovranista” affrontano la materia con difficoltà crescenti. In democrazia hanno bisogno degli elettori, ma devono anche osservare le regole fissate dalle proprie Costituzioni, dalle convenzioni internazionali e dagli stessi accordi sottoscritti nell’ambito della Ue. Vorrebbero tenere il grosso degli immigrati e pressoché tutti i rifugiati lontani dalle loro frontiere, ma nello stesso tempo si sono impegnati a difendere i diritti umani e quindi ad accogliere chi fugge da guerre e persecuzioni. Nella gestione di questa tensione si ha spesso l’impressione di una mancanza di visione e di strategia, ma in realtà alcune decisive scelte politiche della Ue sono ben individuabili. Riguardo a quelle che vengono definite “migrazioni economiche”, si applica una selezione dei candidati secondo tre criteri, che potremmo definire le tre P: i passaporti, i portafogli, le professioni.
Rispetto ai passaporti, si è proceduto anzitutto con l’allargamento della Ue verso Est: una politica migratoria non dichiarata, che ha concesso a milioni di persone la libertà di circolare e di cercare lavoro nei Paesi più prosperi e bisognosi di manodopera, Italia compresa. Su 38 milioni di immigrati nella Ue, 17 sono cittadini di un Paese membro, oggi soprattutto dell’Est. Con la politica dei visti inoltre si tollera l’ingresso (nominalmente turistico) dei cittadini di un numero crescente di Paesi europei non comunitari: sotto un governo di centrodestra, Maroni ministro dell’Interno, l’Italia nel 2010 ha eliminato l’obbligo del visto per tutti i Paesi dell’area balcanica, dall’Albania alla Serbia. Il governo Gentiloni nel 2017 l’ha eliminato per l’Ucraina e la Moldova.
Grazie a queste facilitazioni, la maggioranza degli immigrati residenti nei paesi dell’Unione sono europei. La loro scarsa visibilità, specialmente quando sono donne occupate presso le famiglie, aiuta a oscurarne l’eventuale irregolarità. Così Salvini dopo aver enfatizzato per mesi cifre di 500.000 o 600.000 clandestini ‘sbarcati dall’Africa’, può oggi tentare di far credere che gli immigrati non autorizzati in Italia siano appena 90.000. Omettere dal conto chi arriva dall’Est è il principale artificio per confezionare questa sensazionale trovata che tenta di nascondere un pezzo di realtà e la ‘fame’ di immigrati del nostro sistema. A proposito dei portafogli, i governi della Ue autorizzano con favore crescente l’insediamento degli stranieri che si presentano come investitori, e in certi Paesi (Cipro, Malta) si accorda loro direttamente la cittadinanza.
Mentre discutiamo di ius soli e ius sanguinis e non diamo giusto valore allo ius culturae, è stato introdotto nella Ue lo ius pecuniae: la facoltà di acquistare la cittadinanza grazie al denaro. Infine le professioni: con uno specifico permesso, la Carta Blu, l’Unione ammette l’ingresso di professionisti di diversi settori. Ma non arrivano soltanto scienziati e informatici: con altri tipi di permessi la circolazione di migranti qualificati nella Ue, come in tutto il Nord del mondo, riguarda soprattutto il personale sanitario, infermiere e infermieri in testa. Per quanto riguarda i rifugiati, la politica principale della Ue consiste nell’esternalizzazione dei confini. Incapaci di convenire sulla riforma delle convenzioni di Dublino, governi e istituzioni degli Stati membri si sono facilmente accordati sull’ingaggio come ‘guardie di frontiera’ di Paesi terzi, come la Tunisia, la Turchia, il Niger e infine la Libia: a loro è stato demandato il compito di fermare i richiedenti asilo in transito prima del loro ingresso sul territorio della Ue, dove potrebbero domandare la protezione internazionale.
Poco importa come sono trattati e in quali condizioni trattenuti. Nel medesimo tempo l’accoglienza umanitaria sta diventando sempre più volontaria e quindi facoltativa. La Ue è rigidissima sulle regole applicate alla produzione di latte o di olio di oliva, ma assai flessibile sulla protezione dei diritti umani. Su questo tema il gruppo (sovranista) di Visegrad ha vinto la partita, ma gran parte dei giocatori sono stati contenti di perderla. Ciò che rischia di rimanere sul terreno però non è soltanto la solidarietà con i rifugiati, bensì il senso e lo spirito del progetto europeo.
Sociologo, Università di Milano e Cnel